COME SI MISURA.... L'UNIVERSO?

Se la storia e i progressi della Cosmologia e della Fisica si svilupparono in passato su strade indipendenti e parallele, sembra attualmente esistere una sorta di “alleanza” fra queste due discipline scientifiche.

Ultimamente le scoperte dell’una e dell’altra sono risultate vicendevolmente utili ad entrambe le discipline, unite nell’obbiettivo comune di dare risposta agli interrogativi relativi alla nascita, alla evoluzione ed al destino dell’Universo; infatti, anche al fine di dare una risposta a questi quesiti, i mutamenti intervenuti nell’Universo vanno studiati non solo relativamente ai grandi oggetti che lo compongono come le nebulose e le galassie, ma anche indagando le proprietà dei componenti elementari della materia e delle forze che su di essi agiscono.

Vediamo ora come i cosmologi hanno operato al fine di misurare le principali proprietà dei corpi celesti. In particolare descriviamo i metodi con cui possa essere misurata la loro distanza e velocità.

Per la valutazione della distanza dei corpi celesti i Cosmologi hanno utilizzato e continuano ad utilizzare diversi metodi che si possono suddividere in due classi principali: i metodi diretti ed i metodi indiretti. Con metodi diretti si intendono quelli tramite i quali si può ricavare la distanza di una stella attraverso l’osservazione della sua posizione in tempi successivi e posizioni diverse. Per metodi indiretti si intendono invece quei metodi che permettono di ricavare la distanza di una stella tramite l’osservazione di proprietà che non sono connesse alla sua posizione.

Descriviamo qui di seguito questi due principali metodi.

Il primo e più importante metodo diretto che i Cosmologi hanno utilizzato per valutare la distanza di una stella è stato quello del parallasse.

Come si vede nella precedente figura per effettuare questa misura occorre aspettare sei mesi (ad esempio da Gennaio a Luglio), il tempo necessario alla Terra per compiere mezzo giro attorno al Sole.

Osservata dalle due posizioni la stella (S) apparirà posizionata in due punti diversi e sarà possibile valutare quello che viene chiamato angolo di parallasse (P). Conoscendo anche l’angolo alla base A del triangolo rettangolo (Sole-Terra-Stella) e il raggio dell’orbita della Terra è semplice ricavare l’ipotenusa (AP) che coincide con la distanza a cui si trova la stella.

Oltre all’anno luce (al), cioè la distanza percorsa dalla luce in un anno, gli astronomi utilizzano come unità di misura, per misurare le distanze stellari, anche il parsec (pc). Un parsec è la distanza alla quale una stella risulta avere un parallasse P di 1” di arco. Un pc corrisponde a 3,26155 al.

Da notare comunque che anche la stella a noi più vicina come Proxima Centauri, che dista 4,2 anni luce ha un l’angolo di parallasse già molto piccolo e precisamente pari solo 0,81 secondi di arco. Per cui il metodo del parallasse risulta valido solo per misurare la distanza delle stelle più vicine, al massimo qualche centinaio di parsec.

Per le stelle e le galassie più lontane vengono usati i così detti metodi indiretti. Il principale di questi metodi si basa sulla valutazione della luminosità dell’oggetto la cui distanza vuole essere misurata. La luminosità di un oggetto varia con l’inverso del quadrato della distanza dall'osservatore; ad esempio, la luce di un faro osservato a 1000 metri di distanza apparirà 4 volte più brillante di uno a 2000 metri e 9 volte più brillante di uno a 3000 metri.

Possiamo conoscere a priori l’intensità intrinseca della luce di un faro, in quanto conosciamo le caratteristiche della lampadina usata. E, conoscendo a priori l’intensità intrinseca della luce del faro, possiamo calcolare quanto vale la sua intensità luminosa a 1000 metri di distanza. Pertanto se ad esempio con un fotometro si misura l’intensità luminosa del faro a distanze maggiori si può facilmente risalire alla distanza a cui il faro si trova dall’osservatore. Questo faro, di cui si conosce la luminosità intrinseca, può essere così pensato come una candela standard, cioè un oggetto luminoso di cui siamo sempre in grado di calcolare la distanza a cui si trova.

Avere a disposizione, nell’Universo, delle stelle che fungano da candele standard, stelle cioè di cui si conosca a priori la luminosità intrinseca, sarebbe perciò molto importante al fine di poterne misurare la distanza.

Questo problema fu risolto da una donna: la cosmologa Herrietta Swan Leavitt. Essa era una delle donne computer[1] impiegate, attorno al 1900, da molti Osservatori Astronomici: queste astronome dovevano estrapolare i dati delle stelle, quali posizione, luminosità, colore etc., resi disponibili su lastre fotografiche acquisite attraverso i telescopi. Venivano chiamate donne computer, ed in effetti il loro lavoro, lungo, meticoloso e certamente stancante, viene oggi svolto proprio dai computer.

Herrietta era una scienziata molto riservata, dalla salute cagionevole, che, grazie alla sua grande passione per l’astronomia, aveva ottenuto un lavoro presso l’Osservatorio Astronomico di Harvard. All’inizio del 1900 fu attratta da quelle che venivano chiamate stelle variabili, ossia astri la cui luminosità variava periodicamente nel tempo. Il periodo di variabilità poteva essere di uno o due giorni, ma anche di settimane o mesi. Nel 1908, studiando la porzione di sfera celeste che conteneva le nebulose chiamate Nubi di Magellano, classificò molte centinaia di stelle variabili. Notò anche alcune interessanti regolarità, relativamente alla lunghezza del periodo in cui le stelle apparivano più luminose, e scrisse sugli Annali dell’Osservatorio Astronomico la seguente frase:

E’ da rilevare che le stelle variabili più luminose sono quelle contraddistinte da un ciclo di variabilità più lungo.


[1] Nel secolo delle grandi rivoluzioni industriali (1800), con il termine uomo computer si rappresentavano tutti quegli addetti che, nell’industria e nei servizi, dovevano eseguire compiti altamente ripetitivi, compiti che sarebbero stati in seguito affidati ai computers.

Le stelle di questo tipo vennero in seguito chiamate cefeidi. Herrietta, da questa prima semplice osservazione, arrivò poi, nel 1912, a definire una relazione matematica tramite la quale fu possibile calcolare la distanza di una stella Cefeide a partire dalla durata temporale dei periodi di luminosità. Le cefeidi diventarono quindi le candele standard dell’Universo, ed ovunque se ne trovò qualcuna, fu possibile calcolarne la distanza. Questo permise di conoscere la vera dimensione della Via Lattea, ossia della galassia entro la quale ci troviamo, nonché la distanza di moltissime altre galassie, e di avere così una conoscenza certa e completa delle dimensioni dell’Universo... che apparve subito molto più vasto di come generalmente si pensava!
Anche a causa di innumerevoli problemi all’apparato respiratorio, Herrietta Leavitt, scienziata in verità ancor oggi poco conosciuta, muore a soli 53 anni. La sua morte prematura fu divulgata talmente poco che, quattro anni dopo, il matematico svedese Gosta Mittag-Leffler, pensandola ancora in vita, propose di darle il Premio Nobel. Tuttavia Herrietta, essendo ormai deceduta, non potè mai ottenere il Premio.
Da allora anche altri tipi di stelle, come le Supernove di tipo 1A, che quando esplodono producono una emissione nota di luminosità, vengono utilizzate come candele standard. Esse sono comunque meno diffuse nell’Universo rispetto alle Cefeidi.

Qui di seguito si può scaricare un estratto delle Slides relative al Seminario che ho tenuto nel 2017

SEMINARIO 2017